5 gennaio 2012

I racconti erotici de Il Nuovo Caffé

Sora Pallotta del sommo Della Fregna di Rovere


Il terzo (e penultimo) episodio della saga della sora Pallotta, una delle pietre miliari della letteratura italiana.
Pare che U. Eco abbia affermato: Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, quando desidero impegnarmi leggo Corto Maltese, se invece ho voglia d’ingrifarmi leggo Della Fregna di Rovere.

La collana della sora Pallotta (III parte).
Di Augusto Della Fregna di Rovere

Diego Rivera rimase seduto sull’orlo del materasso, atterrito. Sulla superficie tumultuosa dei suoi occhi galleggiava la più torva disperazione.
“Prendimi” esalò l’orribile, credendo che il chilo di cipria che s’era schiaffata sul muso fosse bastato a trasfigurarla in Edwige Fenech.
Non fece nulla per ribellarsi, il povero casalino, la mente fissa sulla montagna di debiti, sulle spranghe e le chiavi inglesi, lo sguardo sulla magnifica collana appesa al di lei collo che avrebbe potuto riscattare tutto ciò.
La gigantesca mozzarella gli si avvinghiò come un polipo su di uno scoglio, emettendo ogni sorta di acquoso grugnito.
Lo baciò con voluttà, conficcandogli la lingua nel palato come Excalibur nella fredda roccia d’Inghilterra e tastando frenetica la sua virilità celata dai Levi’s 501 regalatigli per il compleanno da Nunzia, la sua ex ragazza, l’unica donna che avesse mai amato e di cui, ora, non gli restava che quel ricordo, ultimo baluardo a separarlo dall’abisso.
La sora Pallotta ardeva di un sacro fuoco: invasata come nemmeno il Mahdi nel proclamare la guerra santa mulinava ogni sua appendice con un vigore inconsueto per una ultrasettuagenaria.
Mani, braccia, seni, lingua, persino i peli irsuti si agitavano come frasche frustate da una libecciata improvvisa.
Con insospettabile agilità si scagliò al centro del letto; le molle cigolarono sinistramente. I seni enormi e gonfi come cocomeri maturi a una sagra estiva si alzavano e abbassavano al ritmo rapido del suo respiro eccitato.
Pose quindi carponi il suo gigantesco corpo e guardandolo maliosa sussurrò: “sbrigati prima che cambi idea”.
Cosa avrebbe fatto Diego Rivera, il casalino più manzo de Roma? Cos’era quell’idea fuggevole, fulminea, tremenda che gli era balenata per un istante nella mente? Perché la sua mano scivolava lenta, ma inesorabilmente avanzava, verso la Glock 17 nera dimenticata su un tavolino di legno a pochi centimetri da lui? (Continua).

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