Riassunto
della puntata precedente: a Padova, negli anni Settanta, si spara ad altezza
d’uomo.
Le notti dei fuochi
Nella
città più pericolosa d’Europa, all’inizio del 1977, viene inaugurato da gruppi
autonomi quali il Fronte Comunista Combattente, un tipo d’azione che diventerà
celebre a Padova: sei attentati contemporanei ai danni di neofascisti e piccoli
industriali. L’obiettivo è, ancora una volta, quello di creare un clima di
paura diffusa e d’insicurezza. Si arriverà a colpire più di trenta obiettivi in
tutta la città nello stesso istante.
Il
6 marzo 1977 una bomba al tritolo devasta la caserma dei Carabinieri in
costruzione a Camposampiero, la rivendicazione è ancora del FCC; il giorno dopo
segue una sparatoria contro il carcere di Piazza Castello; a luglio la prima
gambizzazione, ai danni di un cronista del Gazzettino, macchiatosi di parole
“infamanti” nei confronti del movimento autonomo.
Iniziano
ad operare in città anche nuclei di femministe armate: rapinano cinema a luci
rosse e aggrediscono a casa, negli studi o nelle cliniche diversi ginecologi.
Autofinanziamento
Questa
rete di attentati, manifestazioni, attacchi armati necessita logicamente di
abbondanti fondi per reggersi in piedi.
L’autofinanziamento
avviene prevalentemente attraverso rapine e sequestri di persona; i secondi,
soprattutto, potenzialmente molto redditizi.
Seppure
i primi tempi non siano stati inizialmente particolarmente felici da un punto
di vista economico, la svolta arriva nella primavera del ’74, quando Oreste
Strano, membro di Autonomia Operaia, riesce ad agganciare Carlo Casirati, un
delinquente comune evaso dal carcere di San Vittore, abituato a lavorare in coppia
con un altro malvivente: Rossano Cochis.
Con
Casirati si giunge presto a un accordo: in cambio di cure (si è fratturato un
tallone durante un furto, o forse l’evasione), copertura e metà dell’eventuale
bottino, si potrà collaborare insieme.
Ma
i soldi sono comunque pochi e si decide che le rapine non bastino più.
Si
pensa allora al sequestro di un Rizzoli, un Pirelli, un Invernizzi o una
cantante lirica.
Si
decide per l’industriale Giuseppe Duina, ma l’operazione è un fallimento e
questi riesce a fuggire.
Si
giungeinfine a una scelta disperata.
Membro
del gruppo è infatti Carlo Saronio, figlio di un noto miliardario; dunque
perché non rapire proprio lui? Per finta, naturalmente, solo per estorcere
soldi alla famiglia.
L’idea
circola da tempo, ora la si prende sul serio.
Il
14 aprile 1975 Casirati e soci, travestiti da carabinieri, rapiscono l’ignaro
Saronio, ma tragicamente sbagliano la dose di toluolo usata per stordirlo e lo
uccidono.
Fingono
ugualmente che sia vivo e ottengono dalla famiglia un riscatto di 470 milioni
di lire.
Infine
vengono scoperti e costretti a confessare ove sia sepolto il fu compagno.
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